Giuseppe Fioroni a Spoltore per la presentazione del volume “Moro – Il caso non è chiuso – La verità non detta”


Giuseppe Fioroni a Spoltore per la presentazione del volume “Moro – Il caso non è chiuso – La verità non detta”

Giovedì 6 giugno 2019, h. 18,00 – Sala Consiliare del Comune


Giovedì 6 giugno, alle 18, nella sala consiliare del Comune di Spoltore (Pe), sarà presentato il libro “Moro – Il caso non è chiuso – La verità non detta” di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni, Presidente Commissione d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

Fioroni, parlamentare del Partito Democratico, già sindaco di Viterbo e ministro della Pubblica Istruzione con Romano Prodi, parlerà del suo lavoro come presidente di commissione e di quanto emerso dalla lettura dei documenti. Saranno presenti, assieme a Giuseppe Fioroni, il sindaco di Spoltore, Luciano Di Lorito, il Presidente del Consiglio Regionale, Lorenzo Sospiri, monsignor Gino Cilli, l’assessore alla cultura di Spoltore, Roberta Rullo, modera il giornalista Luciano Troiano, vicedirettore del quotidiano Identità Insorgenti.

"Moro - Il caso non è chiuso - La verità non detta" di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni è una fonte di documenti e fatti che, alla luce della relazione finale della commissione di inchiesta del dicembre 2017, fa maggiore chiarezza su ciò che è stato il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. L'omicidio dello statista democristiano è la chiave di lettura per capire non tanto la lotta armata in Italia, ma ciò che stava dietro di essa e che veniva da molto lontano negli anni, prima ancora che il fatto accadesse. Serve conoscere cosa sono stati gli anni 50/60/70 in Italia per capire chi siamo oggi; questo libro è un pezzo di memoria storica che fa luce su ciò che è iniziato a Yalta nel febbraio 1945 e forse non è ancora finito.

Il libro setaccia la documentazione pantagruelica dei diversi processi e delle numerose indagini parlamentari su l'affare Moro. Gli autori hanno, ovviamente, un'ottima comprensione del materiale ed esaminano le prove contorte e gli indizi con estrema attenzione e obiettività.

Gli italiani si sono sempre chiesti se la reale responsabilità della morte di Moro sia stata accertata, così come il popolo americano non ha mai accettato la totale responsabilità di Lee Oswald nell'assassinio di Kennedy.

Gli autori argomentano in modo convincente che c'è stato un omicidio, che tanto è stato scoperto e rivelato ma non tutto.

Rapendo il leader più eminente della Repubblica, le Brigate rosse speravano di far precipitare l'establishment politico in una crisi che avrebbe portato al suo collasso. Questo non è accaduto, come questo dossier sobrio e meditato spiega attentamente, ma avrebbe potuto farlo? In un mondo in cui le tradizionali democrazie affrontano sempre più la minaccia del terrorismo, sappiamo cosa c'è dietro l'angolo? Il libro evidenzia le luci e le ombre del sistema giudiziario italiano, si sofferma sulla Democrazia Cristiana e sul ruolo di Moro al suo interno, ed elenca una mezza dozzina di influenze sulla politica italiana - il Vaticano, la mafia, gli Stati Uniti, gli ordini militari e massonici di destra segreta e le organizzazioni di intelligence e terrorismo straniere.

Non c'è uno scandalo nella vita politica italiana, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '90, che non sia stato usato in qualche modo per spiegare i motivi del sequestro e dell'omicidio di Aldo Moro. Mancava un lavoro serio, distaccato e neutrale su questo argomento. In questo senso, Calabrò e Fioroni hanno svolto il loro compito con precisione e obiettività, e il risultato è un resoconto esemplare o, meglio ancora, un percorso che si sviluppa gradualmente attraverso una giungla di tesi e polemiche.

ll tono del testo è pacato, direi basso, fluido, un continuo presente-passato-presente che scorre di fronte al lettore senza censure, senza interruzioni. E spiega un mondo che non c'è più ma le cui radici sono ancora salde nella società odierna.

Pecorelli il 2 maggio 1978 scrive su Op: "E' Yalta che ha deciso Via Fani, l'agguato porta il segno di un lucido superpotere, l'obiettivo primario è quello di allontanare il Pci dall'area del potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del paese. Non si vuole che accada.(...) Ancora una volta la logica di Yalta è passata sulle teste delle potenze minori". Grave accusa per la quale, insieme al possesso delle copie del memoriale di Moro, venne ucciso.

La situazione negli anni Settanta era in evoluzione, Moro lo aveva intuito e aveva cercato di cambiare gli equilibri di Yalta con dieci anni di anticipo: è morto per questo.

Le elezioni dello scorso marzo 2018 hanno segnato la fine di "un prima" ma non ancora l'inizio di "un dopo". La posizione geo-strategica dell'Italia rimane la stessa rispetto al 1949 così come le Alleanze e gli interessi economici. Gli attori sono cambiati pur rimanendo gli stessi.

Vorrei aggiungere una considerazione personale, la strategia della lotta armata ha stravolto il comune senso del pensiero: faceva impietosire la gente sulla morte del carabiniere o del poliziotto, e toglieva la voglia di essere arrabbiati.

Si sono arrogati il diritto di odiare anche per noi. Ecco, i lottarmatisti, con i loro interventi violenti hanno tolto alla gente quel sano odio contro le istituzioni, forse un po' qualunquistico, che una volta esisteva e che si sentiva nei bar, per la strada. La crudeltà del gesto che mi sgomenta, oggi come allora, ha una dimensione per me impercorribile perché chi, ieri come oggi, ammazza a freddo va oltre la mia capacità di comprensione. Io ho vissuto quegli anni e mi ricordo, in Piazza San Giovanni, le bandiere bianche e le bandiere rosse sventolare insieme per il rapimento Moro. Lo stringersi di tutti attorno alle istituzioni e lo sproloquiare dei sindacalisti, suscitò in me una sensazione fastidiosa: da una parte vedevo uno stato di cui le B.R. hanno fatto emergere tutta la stupidità, ma dall'altro questa gente che sceglieva la distruzione e l'autodistruzione in una completa disperazione.

Chiudo con una bellissima frase di Giorgio Gaber in "Io se fossi Dio": anche l'avventuriero più spinto muore dove gli può capitare neanche tanto convinto.

(Luisa Debenedetti da www.librierecensioni.com)
 


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